Organizzazioni culturali e visione strategica in ambito digitale
Intervista a Claudio Calveri, Digital Strategist DeRev
La quantità (se non la qualità) dell’esperienza on line offerta dai musei durante l’ultimo anno, è stata in grado di garantire la costruzione di una relazione digitale continuata e significativa con gli utenti? Quali sono le motivazioni del successo o dell’insuccesso?
La pratica digitale quotidiana degli italiani è stata accelerata in modo consistente dalle esigenze dettate dalla pandemia, e anche le organizzazioni culturali hanno cercato di rispondere più rapidamente possibile alla nuova domanda di contenuti. In particolare, non pochi musei hanno attivato prontamente dei tour virtuali, e in particolare quelli che avevano una partnership già attiva con Google Arts & Culture hanno goduto dell’opportunità di presentare al pubblico un’offerta già strutturata.
I dati però ci raccontano quanto parziale sia stato questo passaggio: dopo un momento iniziale in cui gli utenti hanno visitato con curiosità le nuove iniziative online – spinti anche dall’impossibilità di recarsi fisicamente nelle diverse sedi museali – la curva delle visite digitali è calata in modo consistente, assestandosi su livelli non dissimili dal periodo precedente alla crisi.
Il senso di questa parabola è da leggersi, a mio modo di vedere, nella mancanza di una visione strategica da parte delle organizzazioni culturali (non solo museali) in ambito digitale.
Non si tratta solo di concepire prodotti multimediali più o meno interattivi, più o meno attraenti, quanto di concepire l’ambiente online come una dimensione complementare a quella fisica, tale che possa integrare la prima e completarla, offrendo esperienze di respiro più ampio e continuativo. Andando al di là del canonico dibattito che vede in presunta opposizione analogico e digitale, con tifosi e sostenitori dell’uno o dell’altro campo a fronteggiarsi per ribadirne la superiorità, è necessario ragionare sulla modalità ormai ibrida nella quale viviamo la nostra vita quotidiana, per poi cercare di capire in quale modo sia possibile innestare momenti significativi nel suo flusso, approfittando anche delle immense opportunità attrattive e funzionali di web e social.
L’esperienza culturale nel suo complesso va ripensata sempre più in modo articolato, ampliandone il respiro in una declinazione che ne ricomprenda diversi output, da calare nei diversi canali, fisici e virtuali. Piuttosto che seguire l’abbrivio di una corsa all’innovazione votata solo al rinnovamento e all’utilizzo degli strumenti va considerata la funzione specifica che ogni singolo passaggio della filiera museale può assumere.
Durante l’acquisto online di un biglietto è possibile inserire elementi che offrano qualche utilità ulteriore all’utente, fosse anche di tipo immateriale e puramente ludico? Il medesimo passaggio può servire anche ad acquisire – in modo naturalmente del tutto etico e legittimo, oltre che legale – dei dati che possano contribuire ad una conoscenza più accurata del pubblico, in modo da poterne interpretare al meglio le esigenze? Siamo preparati a pensare ad una mostra come ad uno degli step di un percorso concettuale che può proseguire in altro modo, magari usando logiche di gamification? E quali saranno gli obiettivi di queste iniziative, riportare l’utente ancora al museo, renderlo un ambasciatore dello stesso? Sono alcune delle domande (e risposte) prioritarie rappresentative del vero focus di un percorso di trasformazione digitale efficace ed ottimizzato in termini di risorse. Costruire un prodotto o servizio digitale di grande impatto (e costo) ma disconnesso da un percorso unico equivale a comprare una Ferrari e parcheggiarla al centro di un lago, su una chiatta galleggiante: suggestiva, curiosa, la noti, ma è sostanzialmente inutile.