Nuove professionalità per musei sempre più digitali
di Antonio Lampis, Direttore Generale Direzione Musei Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Credo che i Musei in questo momento siano un laboratorio interessante per dare alcune risposte alle domande che questo incontro ci pone (“Il futuro delle professioni culturali: cosa cambia, cosa resta” – Roma, 3 ottobre 2018). La più grande sfida che l’Italia sta mettendo in campo è quella di collegare in rete i circa 6000 musei italiani a prescindere dalla proprietà: statali, regionali, comunali, diocesani, d’impresa, militari, privati. Il concetto di messa in rete è anche nelle corde della direttiva con cui è stato lanciato il 2018 come Anno Europeo del Patrimonio. l’Unione Europea nella decisione 2017/864 del 17 maggio 2017 scrisse che il patrimonio è sottostimato rispetto alle potenzialità che può avere nello sviluppo economico, nella la crescita culturale e nell’occupazione giovanile e per uscire da tale sottovalutazione occorre una governance sostenibile, partecipativa, multilivello con il coinvolgimento di diversi stakeholders.
É quello che stiamo cercando di fare con il Sistema Museale Nazionale che da poche settimane ha mosso i suoi primi passi ufficiali e che avrà come base un primo collegamento digitale tra i musei il cui accreditamento e collegamento avverrà a burocrazia zero, su una piattaforma digitale che è stata sviluppata con Agid.
Tra le colonne portanti di tale Sistema c’è l’individuazione delle professionalità con altissimo grado di specializzazione e l’interconnessione di queste in una rete, c’è inoltre il tentativo di aggiornare un sistema fondato su antiche e nobili conoscenze che in molti casi non si sono sapute adeguare ai tempi. Tale sistema servirà anche per la messa in sicurezza dei musei, che è una delle sfide fondamentali, e in questo ambito saranno impiegate le nuove professioni ibride, e servirà soprattutto per una revisione radicale degli allestimenti. Chiunque frequenti musei si rende conto di come, in alcuni casi, vi sia ad un livello arretrato, rispetto a quanto viene indicato nella decisione dell’Unione Europea e rispetto alle aspettative delle giovani generazioni che ormai hanno un sistema intellettivo e cognitivo per catalogare il sapere completamente differente dal nostro e da ci ha preceduto. Anche le generazioni coi capelli grigi sono interessate ad essere accompagnate in percorsi di conoscenza che arricchiscano il racconto attraverso l’utilizzo degli strumenti digitali. Nonostante 10 anni di economia iperliberista che incitava le nuove generazioni a “fare l’idraulico”, abbiamo oggi nuove generazioni che hanno ostinatamente insistito a voler studiare il nostro meraviglioso patrimonio culturale.
Nell’ambito del mio lavoro, mi impegno quotidianamente nel perseguimento dell’obiettivo di creare posti di lavoro per queste persone perché credo che l’attuale sistema di gestione del patrimonio culturale in generale, e in modo particolare dei musei, stia vivendo un trend sorprendentemente positivo. Nel 2004 due grandi economisti della cultura parlavano di “musei invisibili”, oggi i musei sono invece presi letteralmente d’assalto e le famiglie, non i turisti ma le famiglie, hanno messo mano al portafoglio in un modo evidente per sottoporsi a file e a ardui percorsi di conoscenza. Questo momento storico, magico per l’Italia, richiede con urgenza di aggiornare lo staff, coinvolgere nuove professionalità attraverso le assunzioni e attraverso un nuovo rapporto con il privato. Quello che dobbiamo fare nei musei, secondo una frase importantissima che è scritta nelle nostre norme, è garantire effettive esperienze di conoscenza è una sfida nuova perché i musei molto spesso, nella precedente gestione impiegatizia, erano considerati luoghi dove passi alla cassa, ti fai un giro ed esci. Credo che sia il momento di impiegare le nostre intelligenze, che sono eccellenti, in un nuovo tipo di ricerca che sia realmente inclusiva e che, finalmente, crei occupazione dentro il Ministero e nelle tante aziende che vogliono lavorare a favore di una migliore valorizzazione del patrimonio culturale, secondo principi di sussidiarietà e legalità.
Devo anche spezzare un’altra lancia a favore della ibridazione della professionalità: il nostro sistema di accesso alla dirigenza e alle posizioni apicali è ancora tutto diviso in amministrativi, archeologi, storici dell’arte e architetti. Ho scritto qualche riga per descrivere quale sarebbe il profilo di preparazione per un direttore di museo: la direzione deve confrontarsi con la conoscenza delle caratteristiche storiche e contingenti dell’istituto, delle collezioni in esso racchiuse, delle informazioni sullo stato effettivo in cui si trova il museo, delle regole che lo indirizzano e che si trovano nei siti web in particolare nel settore amministrazione trasparenza, il testo vigente dello statuto, il piano della performance e del bilancio. Per i musei statali e per quelli di proprietà pubblica è necessaria la conoscenza della normativa italiana per norme sull’ordinamento del lavoro, su quelle della dipendenza dell’ amministrazione pubblica, il codice dei beni culturali e del paesaggio, l’ambiente, il Codice dei Contratti Pubblici, sicurezza del lavoro, sicurezza antincendio, organizzazione e funzionamento dei musei statali, livelli minimi di qualità che danno molta importanza al tema dell’accessibilità, al tema della rendicontazione sociale.
É questo il lavoro dello storico dell’arte, dell’archeologo, dell’amministrativo? Questo è il lavoro di un manager che abbia una formazione ibrida.
Accanto alle figure apicali dei direttori di museo, che hanno restituito appeal ai musei stessi (noi parliamo di musei da quando nel 2015, in agosto, le selezioni dei direttori di musei fecero più scalpore dei flirt dei calciatori), servono tantissime professionalità ibride, serve una governancecompletamente riaggiornata con un rapporto strettissimo col digitale e servono tante nuove professionalità dentro e fuori il Ministero. Credo che i musei possono essere veramente un laboratorio per capire cosa cambia e cosa resta nelle professioni culturali.