La Diplomazia della Cultura
Intervista a Federica Olivares
Director, International Program and Master in Public and Cultural Diplomacy – Università Cattolica del Sacro Cuore
Che cos’è la Diplomazia della Cultura e in quali modi può innovare le pratiche di relazioni internazionali con l’obiettivo di un più efficace dialogo interculturale anche per la risoluzione dei conflitti?
Mai come in questo complesso scenario geopolitico ci stiamo chiedendo se i tempi dell’Europa potenza civile non ci stiano alle spalle. Dopo gli anni del terrorismo islamico internazionale, questo conflitto è “andato in scena” proprio nel continente europeo nonostante un’apparente omogeneità culturale, ci si è resi conto di essere ben lungi dall’aver colmato un percorso di totale adesione ai valori civili basati sull’imprescindibile piattaforma: stato di diritto, pratiche democratiche, diritti umani, ma fondati anche su valori culturali condivisi che appaiono oggi come un immenso unfinished job.
Ecco perché in questo drammatico frangente sta emergendo la consapevolezza dell’urgenza di una armonizzazione non solo di leggi e regolamenti a livello europeo, ma anzitutto di un lessico civile e culturale condiviso nelle pratiche. In questo contesto, quindi, è molto urgente fornire alla Diplomazia strumenti più efficaci nelle fasi di negoziazione come in quelle, delicatissime, di post conflitto e, auspicabilmente, di peace keeping.
Attraverso tutta la storia, le strategie di peace building hanno infatti identificato nella Cultura un vero cemento, un ruolo di stabilizzatore nelle relazioni internazionali. Nel secolo più recente, questo principio si è affermato con la conclusione della guerra in Bosnia ed Erzegovina, allorché Carl Bildt, Alto Rappresentante per Bosnia ed Erzegovina ed ex Primo Ministro svedese, scrisse nel 1996 un vero manifesto da essere poi tradotto in pratiche diplomatiche: “Qualsiasi sia la definizione di queste operazioni, peace building o peace keeping, sarà indispensabile che vengano incardinate su una componente civile, una componente culturale: questa sarà una delle lezioni più importanti per il nostro futuro”.
Ma cosa si intende oggi per Cultural Diplomacy?
In realtà ci si trova davanti a due accezioni di questo termine: Diplomazia culturale, che mantiene l’enfasi su una tipologia di Diplomazia che “utilizza” la cultura per dotarsi di più strumenti nelle Relazioni Internazionali. E una seconda interpretazione – che è quella per cui propendo perché produce maggiori impatti e innovazione nelle pratiche diplomatiche – di Diplomazia della Cultura, che opera esattamente in senso opposto: utilizza gli strumenti, the ways and means, della Diplomazia per costruire, attraverso la cultura, in tutte le sue declinazioni, relazioni e ponti di dialogo, come anche la reputazione globale di un Paese e di un territorio. La Diplomazia della Cultura si distingue dalla Diplomazia tradizionale, non solo per il superamento del modello bilaterale e multilaterale, ma per gli attori coinvolti nel processo, sempre più spesso non governativi, quali: istituzioni culturali, educative e industrie creative, nonché per le risorse messe in campo. Concettualmente, la Cultural Diplomacy si situa all’interno delle strategie di politica estera di un Paese, della sua Public Diplomacy, ossia la costruzione di una strategia e azioni peer to peer per raggiungere pubblici sempre più diversificati per promuovere obiettivi e interessi nazionali. La Cultural Diplomacy costituisce una forte leva per il Soft Power, che rappresenta l’attrattività di un Paese basata sulla sua cultura, valori, ideali e politica estera.
Ma, dicevamo, la Cultural Diplomacy può essere anche uno strumento efficace per trasformare la reputazione globale di un territorio. Un esempio per tutti: pensiamo a cosa abbia rappresentato per la reputazione e per l’economia di una città come Bilbao la costruzione del Guggenheim Museum nel 1997 che ha trasformato quella che era la capitale del terrorismo basco in una meta iconica del turismo culturale globale con tutti gli impatti sociali ed economici che questo innesto culturale è stato in grado di produrre. Già da queste prime considerazioni risulta evidente quello che la Cultural Diplomacy senz’altro non è: il taglio del nastro di mostre nazionali in sedi internazionali, ma è più precisamente: l’affermazione strategica e competitiva di un sistema culturale in un’ottica di economia della cultura. Vediamo brevemente cosa significhi in concreto tutto questo:
1. Affermazione strategica: quindi non episodica, ma frutto di un insieme di azioni proattive, declinate su un arco temporale medio-lungo. Inoltre, competitiva, ossia consapevole di situarsi all’interno di un sistema competitivo mondiale e dinamico di Soft Power agito molto consapevolmente anche da Paesi che non hanno il nostro patrimonio culturale (assets), ma che sono capaci in molti casi di fare leva su altri assets di Cultural Diplomacy, come testimonia, per esempio, il fatto che nel Rapporto globale sul ranking di Soft Power di 30 Paesi al mondo (The Soft Power 30, a Global Ranking on Soft Power, Portland Communication), l’Italia non sia mai al primo posto neppure per la Cultura.
2. Affermazione di unSistema Culturale, non di un patrimonio passivo, cioè assets culturali, ma di un concetto dinamico di Cultura che mette in campo valori, eccellenze, know-how, cultura immateriale, ricerca e innovazione, che si concretizza attraverso una strategia di sistema Paese capace di mettere in relazione tutti gli attori in modo che si compendino e si rafforzino.
3. In un’ottica di Economia della Cultura, che considera la Cultura come risorsa primaria nella catena di produzione del valore e quindi come risorsa di sviluppo. Esistono oggi una serie di evidenze del valore prodotto dalla Cultura sia per il Pil di un Paese sia per la sua reputazione e attrattività: un punto in più nella leadership globale percepita di un Paese si traduce in un punto in più di esportazioni mondiali di quel Paese.
È grazie a questo precipitato di vive pratiche professionali ed esperienze, che nel 2015 ho sentito l’urgenza di tradurre il mio impegno specifico in ambito culturale e internazionale nella costruzione di un percorso innovativo di formazione per nuove generazioni di “cittadini del mondo”, capaci di fare della cultura un efficace strumento di dialogo e di consolidamento di relazioni costruttive. Ho quindi creato l’International Program and Master in Public and Cultural Diplomacy presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Si tratta del primo percorso formativo a livello europeo che coniuga Public Diplomacy, Soft Power e, non ultimo, Cultural Diplomacy for Reconciliation. Il mio obiettivo è stato, ed è, quello di fornire strumenti di questo efficace approccio alla Diplomazia Culturale a giovani provenienti da cinque continenti per trasformarli in “ambasciatori di dialogo” e “pionieri di innovazione”, per dare nuove energie ai processi di relazioni internazionali a partire dalla “zona franca” della Cultura e delle arti, ma mai prescindendo dai valori di: stato di diritto, pratiche democratiche e diritti umani. Questo percorso formativo è a tutti gli effetti un laboratorio vivo per la comprensione e il dialogo interculturale in un mondo anche culturalmente sempre più complesso. Fin dalla prima edizione del nostro Master, si sono seduti allo stesso banco Studenti dall’Iran, dall’Etiopia, dalla Croazia e dalla Serbia, dalla Cina, e oggi dall’Ucraina e dalla Siria per comprendere cosa fosse realmente accaduto nelle situazioni di conflitto nei loro Paesi e quali soluzioni si possano trovare in futuro anche attraverso il dialogo interculturale. Indimenticabili le prime parole in classe della giovane Studentessa siriana “non sapete cosa significhi crescere in un Paese sanzionato da tutto il mondo…”.
Non si è trattato solo di buone teorie ma spesso di buone pratiche. Infatti, in questi anni siamo stati chiamati ad avere un ruolo molto attivo in conseguenza dell’impatto che i contesti geopolitici dei Paesi di origine dei nostri Studenti hanno avuto sulla loro vita: da un vero e proprio rescue della nostra alumna in Sudan per effetto del colpo di stato militare contro il Primo Ministro per la transizione democratica e che oggi, grazie anche alla Fondazione Res4Africa, si trova indirizzata a una solida carriera nelle organizzazioni internazionali. Alle azioni di responsabilità umanitaria nei confronti delle nostre Studentesse ukraine, al giovane alumno del Venezuela, oggi ancorato a un percorso professionale con le Nazioni Unite, a tante altre vicende umane e professionali che sulla Cultural Diplomacy hanno costruito il proprio futuro e quello del loro Paese, in profonda sintonia con il nostro motto: we want to be a force for good to the World!