La Cultura, strumento di pace

di Mounir Bouchenaki, esperto UNESCO, già Direttore Generale ICCROM e Consigliere Speciale Onorario per la Cultura del Direttore Generale UNESCO

La costituzione dell’UNESCO afferma: “Mentre la guerra inizia nella mente di uomini e donne, è nella mente di uomini e donne che deve essere costruita la difesa della pace”. Come indicato nel suo Preambolo, credo fermamente che il vero fondamento dell’UNESCO consista nel creare le condizioni per costruire la pace nelle menti degli uomini.
Dopo la sua creazione, alla fine della seconda guerra mondiale, la prima azione normativa intrapresa dall’UNESCO è stata la Convenzione dell’Aia, scritta e poi adottata dall’UNESCO nel 1954. Questa Convenzione è particolarmente significativa perché ha ampliato la definizione dei beni culturali da proteggere: non solo monumenti e siti ma anche oggetti, opere d’arte, manoscritti e libri. È stato un passo importante per proteggere questi aspetti della memoria del mondo in caso di conflitto.
Ma la Convenzione, complessa nella sua struttura, non era di facile attuazione, particolarmente nei conflitti più recenti sempre più inter-etnici. Già negli anni ’80, negli scontri al confine tra Libano e Israele, fu solo possibile mettere l’emblema della Convenzione sul sito archeologico di Tiro, senza alcuna sicurezza che il sito sarebbe stato effettivamente risparmiato. Lo stesso accadde con il bombardamento della città di Dubrovnik all’inizio degli anni ’90. Da qui la successiva definizione di un Secondo Protocollo alla Convenzione che tenesse conto dei nuovi scenari di guerra.
I conflitti prendono sempre più di mira il patrimonio culturale e, quindi, le identità delle comunità. Questo è un punto cruciale per tutte le istituzioni che si occupano di beni culturali e che ora stanno affrontando conflitti in tutto il mondo. Alla fine della guerra civile in Libano, nel 1992 l’UNESCO ha potuto inviare una missione di valutazione sullo stato del patrimonio culturale. Grazie al Direttore del Museo delle Antichità, Amir Morris Shihab, molti oggetti sono stati salvati e proprio il restauro del Museo ha permesso di ristabilire un dialogo tra le comunità belligeranti. Ancora oggi la popolazione e le comunità trovano il loro legame con la propria memoria proprio attraverso il Museo Nazionale.
Un altro esempio è il Ponte di Mostar distrutto nelle guerre che hanno funestato la regione jugoslava all’inizio degli anni ‘90. Paradossalmente, il ponte è diventato motivo di accordo tra i sindaci della parte est e ovest della città i quali hanno convenuto di recuperarlo e ripristinarlo in quanto patrimonio e punto d’incontro per le comunità presenti nella regione. L’UNESCO ha coordinato questo progetto di ricostruzione, durato circa sette anni, con un comitato scientifico in cui sono stati coinvolti un ingegnere serbo, un architetto bosniaco e un architetto croato. Ciò significa che le tre comunità coinvolte erano rappresentate nel progetto. Questo esempio mostra come, già da allora, l’UNESCO, ma anche altre organizzazioni, come ICCROM, ICOMOS, Blue Shield e anche le principali istituzioni a livello nazionale per i beni culturali, ponessero particolare attenzione al coinvolgimento delle comunità in situazioni di ricostruzione post-conflitto.
Anche nel progetto a Mosul, distrutta dal gruppo terroristico Daesh, ci siamo assicurati che i responsabili religiosi potessero seguire direttamente i lavori di restauro della chiesa con architetti, ingegneri e restauratori. Perché è essenziale che la ricostruzione dei beni culturali sia portata avanti con il coinvolgimento delle comunità locali.
Ma purtroppo sono proprio le comunità il vero bersaglio dei nuovi conflitti. Abbiamo tutti visto in azione gruppi estremisti: in Mali, a Timbuctù, in Siria, nella città di Palmira o nella città vecchia di Aleppo, in Iraq, nella città di Mosul o nei siti archeologici saccheggiati. Questi gruppi hanno capito che il patrimonio culturale è importante agli occhi della comunità internazionale.
Tutti ricordiamo l’episodio nel 2001, quando i Talebani in Afghanistan decisero di distruggere le gigantesche statue di Buddha nella Valle di Bamiyan. Cosa può fare l’UNESCO e tutte le organizzazioni intergovernative di fronte a un’azione del genere? Molte volte mi è stato chiesto dai giornalisti e ho spiegato che l’UNESCO non ha carri armati né aerei ma solo esperti che cercano di risolvere questi problemi attraverso i negoziati. Da qui la nostra impotenza quando nel marzo 2001 ci siamo trovati di fronte a un editto irremovibile del gruppo estremista al potere. La pubblicazione “The Future of the Bamiyan Buddha Statues: heritage reconstruction in theory and practice” (https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000375108?posInSet=1&queryId=72b06576-7571-47a2-a703-c17aba0ff745) racconta i vari passaggi su ciò che è stato fatto allora.
Le comunità saranno lo strumento più cruciale per la ricostruzione. Altrettanto importante il ruolo dei giovani, i quali sono sempre più una componente essenziale per la ricostruzione e per ristabilire una vita pacifica. Per questo motivo l’UNESCO organizza, durante il Comitato del Patrimonio Mondiale, un forum per i giovani, nel quale sono coinvolti i rappresentanti delle università, provenienti dai Paesi che fanno capo al suddetto Comitato e che rappresentano 21 dei 194 Stati facenti parte della Convenzione del 1972 sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, ma anche della Convenzione del 1970 relativa alla lotta al traffico illecito di beni culturali poiché tutti i Paesi in conflitto presentano sistematicamente siti del patrimonio mondiale in pericolo.
Vorrei concludere ribadendo l’importanza del coinvolgimento non solo dell’UNESCO ma anche degli altri organi delle Nazioni Unite, come il Consiglio di sicurezza dell’ONU che, con le sue risoluzioni, come la 2347 (https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000249838), ha incluso la tutela del patrimonio culturale e la lotta al traffico illecito di beni culturali. Contare sul supporto a tale livello è molto importante per coloro che hanno il privilegio di lavorare a favore del patrimonio culturale, nella convinzione che la Cultura sia un importante strumento di pace.


Si ringrazia la dr.ssa Maria Teresa Iaquinta per la sua preziosa collaborazione a questo numero de “Il Giornale di Civita”.