La buona divulgazione: una forma di metalinguaggio per costruire il futuro
di Vittorio Bo, Direttore Festival delle Scienze di Roma
Perché la scienza?
La prossima edizione del Festival delle Scienze di Roma, che si terrà dal 21 al 24 di aprile del prossimo anno, segnerà il raggiungimento della sua diciannovesima edizione. Un bel traguardo per la continuità e per la fiducia dei tanti partecipanti, soprattutto giovani, che desiderano prendere parte ad un processo di conoscenza e scambio rispetto ai grandi cambiamenti della nostra vita, che – anche attraverso il processo scientifico – possono essere partecipati e più consapevoli.
Il titolo che abbiamo voluto dare alla prossima edizione del Festival delle Scienze è “Errori e Meraviglie”, titolo suggestivo e simbolico del progredire della conoscenza e dei suoi, anche difficili, percorsi.
Di cosa è fatta la scienza? Della meraviglia che accompagna ogni scoperta, quando ci affacciamo sull’ignoto e l’incomprensibile cercando di decifrarne anche solo un piccolo pezzo. La meraviglia è il motore che spinge scienziate e scienziati a esplorare, a porsi domande e a mettere in discussione le conoscenze consolidate, andando sempre oltre. E meravigliarsi, anche di fronte a crisi e problemi, è il primo passo per cercare nuove risposte e soluzioni.
Un cammino che non è privo di passi falsi, di disattese e smentite: insomma, di errori. Dal sistema geocentrico alle errate convinzioni di Guglielmo Marconi sulla propagazione delle onde elettromagnetiche, fino alla Galleria degli Errori di Enzo Ferrari, l’errore è un alleato fondamentale nei processi di conoscenza, innovazione e apprendimento. Gli errori possono essere il punto di partenza per una rivoluzione scientifica, ma solo se impariamo a non temerli e a vederli come opportunità di miglioramento.
E allora, di cosa è fatta la scienza? Di errori e di meraviglie, che alimentano la creatività scientifica, la curiosità e l’esplorazione dell’imprevedibile.
L’Italia è tra i fondatori della Comunità Europea, è tra i maggiori Paesi produttori del mondo, è considerato un luogo di straordinarie meraviglie, ma spende poco in ricerca scientifica. Nella classifica UE degli investimenti del Continente in ricerca è a metà classifica, ma ben al di sotto della percentuale del 3% sul PIL, obiettivo fissato a livello comunitario.
Perché? Eppure, i nostri ricercatori e le nostre scienziate sono spesso considerati tra i primi al mondo, come dedizione, competenza, empatia, capacità di team-bulding, sempre più fondamentale in un mondo di saperi interconnessi e necessariamente aperti. Viviamo la schizofrenia di vivere un presente intensamente proiettato sui bisogni immediati e guardiamo al futuro con gli occhi del passato.
Oggi sappiamo molto meno di ieri rispetto alle occupazioni che attendono i nostri giovani, ed è quindi necessario che si investa in conoscenza: quindi scuola e ricerca. Sono obiettivi che sembrano logici, eppure non lo sono, perché ad ogni tornata elettorale l’attenzione su scienza, scuola e tecnologia, si comprime sino a sparire, perché questi temi non prendono la pancia degli italiani. Forse bisognerebbe abituarsi a pensare soprattutto con la testa e convincere le concittadine e i concittadini che il progresso quanto più è complesso tanto più necessita di una condivisione e conoscenza larga di strumenti e partecipazione collettiva.
Negli ultimi venti anni è aumentato molto l’interesse del pubblico verso i mezzi di divulgazione scientifica: libri, festival, trasmissioni televisive, social e altro. È un bel risultato, ma non è assolutamente abbastanza. Solo attraverso un percorso continuo e costante di apprendimento e formazione si ottengono risultati tangibili, ma è necessario che le forze che si mettono in campo – a livello di competenze, formazione e di investimenti – siano ben maggiori di quanto si sta facendo.
La divulgazione è necessaria, utile, ed ha portato positivamente tante scienziate e tanti scienziati a mettersi in gioco per far comprendere il valore e il senso del loro lavoro, traducendo in termini vicini e ‘simpatici’ la complessità e la ricchezza della scienza.
Il racconto della scienza è parte della nostra cultura e della nostra vita, basta pensare al De Rerum Natura, alle descrizioni della natura di Plinio il Vecchio, alla scoperta del mondo fuori del mondo di Galileo, alle descrizioni della volta celeste di Dante, al De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, al Micrographia di Robert Hook, a L’origine delle specie di Charles Darwin, ai Quadri della Natura di Alexander von Humboldt, agli interminati spazi e ai sovrumani silenzi di Leopardi e tante, tante altre narrazioni del mistero e della bellezza della natura e dell’immensamente grande e vasto universo cui apparteniamo.
Quando bambine e bambini, ragazzi e ragazze, entrano in contatto con giochi, strumenti interrativi, esperimenti, manipolando provette, esercitandosi in quesiti e quiz matematici, allenandosi con il coding, esercitando la loro fantasia con mille strumenti che scatenano la loro propensione alla scoperta, alla risposta ai mille ‘perché’, non fanno altro che seguire l’istinto proprio dell’essere umano di scoprire, indagare, scovare, inventare.
Divulgare significa rendere accessibili ad un largo numero di persone nozioni scientifiche e tecniche, con un linguaggio chiaro e comprensibile. Ma la buona divulgazione non è mai una semplificazione, una banalizzazione concettuale, ma semmai una forma di metalinguaggio oltre l’espressione puramente scientifica.
Divulgare è un grande e importante esercizio delle scienziate e degli scienziati di avvicinarsi ai non competenti, che presuppone però una libertà di accoglienza e di ascolto che deve essere accompagnata da un atteggiamento laico e assolutamente aperto e a cui il mondo delle istituzioni pubbliche e soprattutto il corpo insegnante dovrebbe allenarsi costantemente.
La scienza è parte integrante del nostro percorso di apprendimento e conoscenza continua e dobbiamo facilitare e accompagnare l’allenamento e la pratica di apprendimento informativo e gnoseologico. Solo così grandi e urgenti temi, come per esempio il cambiamento climatico o gli usi e le applicazioni dell’Intelligenza artificiale, possono diventare elementi quotidiani di un vocabolario comune con il quale esercitare, tutti, un ruolo attivo per costruire il futuro.