Il turismo culturale post-Covid nelle città d’arte
Quello turistico è uno dei settori più colpiti a livello mondiale dall’attuale pandemia di Covid-19: nell’anno che si è appena concluso si sono contate 245 milioni di presenze in meno di turisti italiani e stranieri e una riduzione di 14 miliardi di euro di fatturato. Questa grave situazione la stanno subendo in particolar modo, le nostre città d’arte.
Lo scenario che avevamo dinnanzi in apertura del 2020 era quello di un turismo proiettato in un futuro globalizzato e digitalizzato, dominato da mercati fortemente competitivi e nel quale le città concorrevano nel presentarsi sempre più green e smart.
Prima della pandemia le nostre città d’arte, volano del turismo italiano, vantavano un trend di crescita continuo (circa il 25% delle presenze in Italia erano legate alla fruizione delle città d’arte) e venivano visitate, per un 60%, da turisti stranieri appassionati della nostra arte e cultura e considerati “alto spendenti”, ovvero disposti a spendere molto di più rispetto alla media europea per visitare il nostro patrimonio culturale, lasciando quindi grande ricchezza sui territori. La top 10 delle nostre città d’arte (Firenze, Roma, Milano, Venezia, Napoli, Torino, Bologna, Verona, Genova, Pisa) totalizzava oltre 84 milioni dei 113 milioni di presenze nel nostro Paese. L’exploit di una piccola città come Matera, capitale della Cultura 2019, aveva fatto registrare un aumento del 216% delle presenze negli ultimi sette anni.
Nelle città d’arte, tuttavia, la retorica dell’attrattività turistica senza limiti aveva trasformato il volto dei centri storci, fino a generare effetti collaterali, come i fenomeni dell’overtourism e della gentrificazione, che hanno allontanato le comunità residenti sulla spinta degli affitti a breve termine e sacrificato la varietà di funzioni che tutte le città dovrebbero garantire ai city users. Ciò ha determinato forme tutt’altro che sostenibili di iper-concentrazione turistica, provocando una crescita diseguale di attività e territori.
Poi è arrivata la pandemia che ha decimato il settore del turismo: secondo una stima ENIT, questo comparto, che nel 2019 generava il 13% del nostro PIL, è passato nel 2020 a generarne il 7,2 %.
Non meno preoccupante è il problema dell’accessibilità. Anche per il trasporto aereo, infatti, le stime di ripresa più ottimiste partono dalla fine del 2023, quando grazie al vaccino si potrà tornare a viaggiare in sicurezza. A fronte di una percentuale di perdite stimate tra il 60% e il 70% rispetto al 2019 nel trasporto aereo, secondo Federturismo, città d’arte e destinazioni business oriented, come Milano, rischiano un tasso di mortalità per le PMI turistiche che potrebbe raggiungere il 40% dell’offerta complessiva, con punte dell’80% in settori come le Agenzie di viaggio e i Tour Operator e del 60% per quelle della cultura, della ristorazione e dell’intrattenimento.
Gli effetti della pandemia sono pesantissimi anche rispetto al sistema museale italiano, cui le disposizioni governative hanno imposto una chiusura prolungata. Nei soli musei statali l’Istat ha stimato che fra marzo e maggio vi sia stato un mancato afflusso di 19 milioni di visitatori, che ha comportato una perdita di 78 milioni di euro.
Questa rivoluzione impone ora un cambio di paradigma per la rigenerazione dei sistemi turistici. Verosimilmente il “new normal” che si andrà delineando in epoca post-pandemica sarà profondamente diverso da quello a cui eravamo abituati e i nuovi turisti non si comporteranno come facevano in passato. Inquadrando la situazione in chiave prospettica, il necessario ripensamento degli approcci strategico-gestionali alla pianificazione turistico-territoriale in epoca post-pandemica rappresenta però una preziosissima opportunità di cambiamento del vecchio modello di turismo e del rapporto con i tessuti urbani.
Le conseguenze del Covid stanno ridisegnando la geografia dell’Italia delle città. I grandi centri soffrono e faticano a immaginare nuovi assetti, mentre le città “intermedie” si stanno rivelando innovative proprio in virtù della forza e densità delle loro reti sociali condivise. Quindi occorre riprogettare le forme di funzione turistica anche nelle nostre città d’arte, tenendo conto che in questo nuovo paradigma, che deve unire il blu del digitale con il verde della sostenibilità, il ruolo delle comunità si afferma in modo forte, assieme al valore delle relazioni.
Non contano più i grandi numeri generati dagli spostamenti di massa, ma l’attenzione si concentra sullo spazio, sul tempo e sulle modalità di relazione con i territori e le comunità che li abitano. La sostenibilità diventa realmente l’elemento trasversale nei nuovi stili di frizione turistica, oltre che leva di sviluppo economico e territoriale: dal cohousing nei borghi al recupero del patrimonio dismesso, dal divario digitale alla fruizione turistica delle aree interne o marginali, agli investimenti sulla mobilità sostenibile e leggera.
In definitiva, in attesa che si ritorni a viaggiare, l’industria turistica dovrà riposizionarsi, attrezzandosi per generare economia attraverso quei valori non solo economico-finanziari ma anche di natura culturale, educativa, sociale, simbolica che connotano un modello di turismo sostenibile legato alla valorizzazione del patrimonio diffuso.
Se la crisi della mobilità internazionale ha messo in crisi le città d’arte così come il business model della gran parte delle istituzioni culturali, è arrivato il momento per il sistema Paese, per le città d’arte, sino agli stessi musei italiani di focalizzare l’attenzione sul turismo sostenibile e di prossimità. Puntare su un pubblico meno numeroso ma più fidelizzabile, probabilmente meno “alto spendente” ma verosimilmente più attento all’ambiente e alla qualità della fruizione turistica, offrirà l’opportunità di riequilibrare il consumo culturale, rendendolo più gratificante, più lento, meno superficiale e meno vincolato a scontati percorsi turistici.
Il futuro del turismo dovrà andare nella direzione dell’integrazione tra le grandi città d’arte e i piccoli centri e i borghi, di una offerta turistica sostenibile e green in cui ipotizzare una sua riconfigurazione che metta in raccordo città d’arte e piccoli centri. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessario lavorare molto su digitalizzazione e sostenibilità, secondo interventi adeguati che si auspica verranno inclusi nei nuovi strumenti di programmazione; sarà, inoltre fondamentale gestire al meglio questa fase di transizione per non guardare troppo oltre e puntando, inizialmente, sul turismo di prossimità, italiano ed europeo, piuttosto che ai grandi flussi internazionali di oltreoceano.
Per ripartire saranno fondamentali la partnership pubblico-privata, di cui l’Associazione Civita è paladina nel settore dei beni culturali e del turismo, e la collaborazione fra tutti i soggetti, istituzionali e non; perché la capacità attrattiva di una destinazione dipende anche dall’interazione fra gli enti pubblici, le industrie culturali e creative, la filiera del turismo, il mondo del Made in Italy e quello della gastronomia.
È una grande opportunità che non possiamo e non vogliamo perdere.
Simonetta Giordani, Segretario Generale Associazione Civita