Capitali della Cultura, per una legacy significativa e duratura
Intervista ad Alessandra Vittorini, Direttore Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali
La Fondazione Scuola dei beni e delle attività cutlurali, da lei diretta, ha pubblicato in questi giorni la nuova ricerca, condotta insieme al Servizio VI “Eventi mostre e manifestazioni” del Segretariato Generale del MiC e a PTSCLAS, che accende i riflettori sulle dieci capitali italiane della cultura dal 2015 al 2022 e sugli impatti che l’iniziativa ha lasciato sui territori coinvolti. Quali sono gli effetti più significativi avuti sulle città che si sono aggiudicate il titolo?
L’indagine ha riguardato gli esiti e gli effetti prodotti dai diversi programmi delle “Capitali Italiane della Cultura” sulle dieci città insignite del titolo fino ad oggi: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena, Mantova, Pistoia, Palermo, Parma e Procida. I risultati, che offrono un quadro generale di grande interesse, sono raccolti nel volume “Capitale italiana della cultura. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze, cambiamenti”, consultabile anche online sul sito della Fondazione.
Nella sua regolare riproposizione annuale l’iniziativa ha prodotto un vasto insieme di progetti e di attività – ideati e poi attuati – che costituiscono un interessante campo di indagine per valutarne l’efficacia come azione di politica culturale.
Come primo esito possiamo confermare che in tutti i casi, e ferma restando la grande diversità dei contesti e dei progetti, l’esperienza di “Capitale italiana della cultura” rappresenta senza dubbio un innesco positivo, funzionale alla produzione di processi virtuosi di attivazione di forze all’interno della città.
Si tratta, in tutta evidenza, di un ‘investimento’, da intendere nel suo senso più ampio, con un significato che va ben oltre quello economico o finanziario, legato al contributo pubblico ricevuto, e che include tutte le azioni e gli sforzi fatti dalle città e dagli altri attori coinvolti, atti a produrre risultati apprezzabili nel breve periodo ed effetti di più ampio respiro nel medio e nel lungo termine.
Dall’analisi sono emersi due paradigmi diversi di intervento delle città: alcune hanno preferito puntare su settori già sviluppati, potenziandoli, mentre altre hanno utilizzato l’occasione per tentare di colmare i gap territoriali.
Rimane in tutti i casi forte l’impegno a far perdurare nel tempo gli effetti positivi sul territorio e, dunque, di produrre una legacy significativa e duratura.
Va sottolineato che non sempre si sono registrati ex post gli effetti principali dell’iniziativa proprio negli ambiti in cui si è maggiormente investito. Ma il successo della policy non risiede tanto nella perfetta corrispondenza tra ambito di investimento e ambito di ritorno dello stesso, quanto piuttosto nella capacità di ciascuna realtà di saper correttamente interpretare le proprie condizioni di partenza al fine di produrre effetti coerenti con gli obiettivi stabiliti.
Lo studio è stato una occasione per la messa a punto di un modello specifico di valutazione, in itinere ed ex post, dell’iniziativa del MiC. Quali sono le principali linee guida che si propongono alle prossime capitali della cultura e agli operatori del settore?
Dall’indagine svolta appare chiaro come la “Capitale italiana della cultura” si stia configurando sempre più come un’azione capace di attivare il territorio in molte delle sue dimensioni, raccogliendo e stimolando le migliori energie progettuali disponibili.
L’anno in cui una città si fregia del titolo è indubbiamente, per le Amministrazioni e per i cittadini, un periodo importante e irripetibile, un’occasione capace di incidere su molte dimensioni dello sviluppo culturale della città e del suo contesto.
Certo, ogni Capitale è un caso a sé. Basta scorrere l’elenco per coglierne le evidenti e peculiari differenze. Esistono tuttavia molti elementi comuni ai programmi e alla loro attuazione, che possono essere quindi riferiti alle caratteristiche proprie della policy.
In primo luogo, il titolo di Capitale italiana della cultura influisce sulla vivacità culturale delle città insignite, arricchendo e diversificando l’offerta culturale locale con palinsesti costellati da eventi singoli, festival, mostre, concerti, performance e progetti artistici.
L’indagine mostra poi come la vivacità dell’offerta culturale sia correlata anche a una diffusa crescita della partecipazione collettiva, obiettivo che ha assunto uno spazio sempre maggiore sia nei dossier di candidatura che nel dibattito degli operatori culturali. In questo caso è possibile ipotizzare un “effetto Faro”, cominciato ben prima della ratifica italiana, nel 2020, della Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società, e poi via via sempre più intensificato.
Altre dimensioni rilevanti sono il posizionamento mediatico e la reputazione della città, nonché l’effetto sul trasferimento tecnologico e l’impulso alle imprese culturali e creative. Un tema comune, e di grande attenzione, è anche quello dei modelli di governance da adottare per una efficiente coordinamento della vita culturale cittadina e, in alcuni casi, per il diretto coinvolgimento nella gestione dei luoghi della cultura.
Su questi temi è importante che le città proseguano nella loro sperimentazione di modelli e di innovazione. E a tal fine sarebbe strategico richiedere a tutte le Amministrazioni un lavoro costante di monitoraggio e di raccolta di dati (qualitativi e quantitativi) per consentire una valutazione ex post di lungo termine che permetta di proseguire e approfondire questa riflessione comune. Per capitalizzare al meglio quell’esperienza e mettere a fuoco i progetti e le soluzioni più efficaci per le tante città che, per il prossimo futuro, intenderanno mettere la cultura al centro delle proprie politiche di sviluppo.