Il protagonista dell’Odissea è il più antico e il più moderno personaggio della letteratura occidentale. Egli getta un’ombra lunga sull’immaginario dell’uomo, in ogni tempo. L’arte ne ha espresso e reinterpretato costantemente il mito. Dall’Odissea alla Commedia dantesca, da Tennyson a Joyce e a tutto il Novecento, di volta in volta, Ulisse è l’eroe dell’esperienza umana, della sopportazione, dell’intelligenza, della parola, della conoscenza, della sopravvivenza e dell’inganno. La nuova grande esposizione, ospite dei Musei San Domenico di Forlì dal 15 febbraio al 21 giugno, presenta oltre 200 opere tra le più significative di ogni tempo. Dall’antico al Novecento. Opere di pittura e scultura, miniature, mosaici, ceramiche, arazzi e lavori grafici ricomprendono il viaggio di Ulisse come viaggio dell’arte. Se l’età arcaica privilegia gli episodi di Polifemo, di Circe, di Scilla e delle Sirene, l’età classica aggiunge gli incontri e i riconoscimenti: l’incontro con Tiresia, Atena, Nausicaa e Telemaco, il dolore e l’inganno della tela di Penelope, il riconoscimento della nutrice Euriclea, la strage dei Proci. L’ellenismo aggiunge l’incontro domestico e commovente con il cane Argo, l’abbraccio e il riconoscimento tra Ulisse e Penelope; l’arte romana, infine, oltre a ripetere i modelli precedenti, raffigura, quale epilogo consolatorio, l’abbraccio tra Ulisse e il padre Laerte. Dante, che scrive duemila anni dopo Omero, usa gli autori latini che sottolineano le qualità di Ulisse. Così nel canto XXVI dell’Inferno egli conferisce a Ulisse una nuova e diversa centralità. L’Ulisse di Dante non è spinto dalla nostalgia del ritorno, né, come l’Enea virgiliano, è mosso da una missione, egli è un viandante spinto dall’ardore “a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore”. L’influsso di Dante sull’arte giunge fino ad artisti come Botticelli, Signorelli e Federico Zuccari, per poi immergersi in un lungo silenzio fino a William Blake e all’Ottocento. Mentre le narrazioni omeriche sopravvivono nei cassoni fiorentini del Quattrocento per rifiorire poi nei disegni e nelle opere di Filippino Lippi o del Parmigianino. Le diverse interpretazioni di Ulisse si fanno sentire anche nei cicli figurativi del Cinquecento in una sintesi integrata tra valori formali e valori morali espressi da artisti quali Pinturicchio, Nicolò dell’Abate, Primaticcio, fino alle tele di Beccafumi, Dossi, Spranger. Il Seicento di Rubens, Bruegel, Lorrain, Jordaens, Cornelis, tra natura e teatro ne diffonde il mito fin nelle manifatture. Col classicismo di Canova, Mengs, Pelagi, Füssli, David, il Settecento si mostra come un secolo omerico, mentre il romanticismo di Hayez avvia un ulteriore rinnovamento. Il XIX secolo ritrova nel mito del viaggiatore e del viandante (da Foscolo a Tennyson, dal Romanticismo a Nietzsche), qualcosa di odissiaco nel destino dell’uomo moderno. I Preraffaelliti, e in generale le inquietudini allusive del Simbolismo vagheggiano la visione onirica di un mondo che oramai sfugge al desiderio di bellezza ed è sopraffatto dalla realtà quotidiana Il XX secolo – sulla scorta dei capolavori letterari di Eliot, Kafka, Pascoli, Pavese, Primo Levi, e Joyce – fa di Ulisse il prototipo dell’uomo contemporaneo: inquieto, alienato, irrimediabilmente diviso nel proprio io. Da Böcklin a De Chirico, da Savinio a Sironi, a Cagli, da Rodin a Martini, assistiamo alla definizione di un’arte come ricerca e rappresentazione di un varco, di una via d’uscita possibile che altrimenti si nega all’eroe divenuto uomo. Il viaggio attraverso un universo così straordinariamente ricco e diversificato, che questa mostra propone, consente di cogliere i tratti più caratteristici di singoli segmenti della tradizione figurativa, nonché il rispecchiamento della propria ricerca esistenziale tra poesia e storia.