L’innovazione nella Cultura e nel Turismo
di Emmanuele Francesco Maria Emanuele, Vice Presidente Associazione Civita
Chiunque operi, a vario titolo, nel settore della cultura, al giorno d’oggi deve necessariamente fare i conti con l’innovazione tecnologica incalzante, che riguarda in maniera sempre più massiccia e capillare non soltanto coloro che producono cultura o che ne godono, ma anche le altre industrie che utilizzano nei loro processi prodotti culturali e creativi. A questa tematica attualissima e sempre al centro del dibattito è dedicato il terzo volume della collana “L’arte di produrre Arte”, curato da Pietro Antonio Valentino, economista della cultura, ed edito da Marsilio Editori: esso fornisce un’immagine della dimensione e delle dinamiche delle Industrie Culturali e Creative (ICC) italiane a confronto con quella di altri Paesi europei, ed indaga il comparto di tale industria legato all’innovazione nella cultura e nel turismo.
La rivoluzione digitale ha cambiato profondamente il rapporto tra cultura, arte e società civile in quanto ha intimamente modificato il rapporto tra il bene ed il suo fruitore, rendendo il pubblico soggetto attivo nel processo di consumo: in particolare, ha arricchito e semplificato l’acquisizione dell’insieme delle informazioni insite in un prodotto, un’opera d’arte o un’attività culturale, e così facendo ha facilitato la diffusione della cultura e l’accostamento ad essa da parte delle fasce più giovani della popolazione e da quelle prima escluse per la presenza di “barriere” culturali. Tutto ciò è stato possibile perché le nuove tecnologie, con costi di produzione relativamente ridotti, hanno permesso di arricchire la gamma dei servizi offerti e di mirarli più immediatamente sulle esigenze degli individui. Basti pensare – a mero titolo di esempio – al nuovo sistema multimediale di cui la Fondazione Roma ha recentemente dotato, su mio impulso, la propria Collezione Permanente d’arte dal ‘400 ai giorni nostri: un sistema di touch screen all’avanguardia, che si fonda su una piattaforma tecnologica tra le più innovative sul mercato, al fine di consentire la visione delle opere nel dettaglio e la conoscenza approfondita della loro storia e degli autori che le hanno realizzate.
Il processo di trasformazione vissuto dal tessuto delle ICC in Italia e in Europa durante l’ultimo decennio, tuttavia, presenta delle differenze nella sua evoluzione.La crisi che dal 2008 ha investito l’intera economia mondiale ha colpito anche questo settore e il nostro Paese ne ha risentito più degli altri, essendo stato in grado solo in parte di opporre una resistenza alle forze negative del ciclo. Dall’indagine di Civita emerge infatti un ritardo in Italia nello sviluppo delle ICC, come d’altra parte dell’intero apparato produttivo, rispetto ai principali Paesi europei, sia in termini di dimensione media che di valore aggiunto e produttività; questo ha effetti, com’è noto, sugli investimenti in ricerca, che restano tra i più bassi in Europa, e mette in evidenza che molto bisogna fare per eliminare i vincoli e il ritardo accumulato e comprendere appieno l’importanza strategica del settore. Nel nostro Paese l’ICC dà lavoro a 413.843 unità che rappresentano però solo l’1,7% del totale dell’occupazione pubblica e privata. La piccola dimensione di impresa, inoltre, caratterizza l’intero settore culturale e creativo italiano e mostra come quest’ultimo abbia natura più artigianale che industriale: la media è di 2 addetti contro il 3,5 del settore dei servizi ed il 4,0 dell’intera economia.
Certamente vanno evidenziati anche alcuni aspetti positivi emersi dall’indagine, quali un profondo processo di specializzazione e internazionalizzazione in atto nelle attività del settore delle ICC italiane, che ne amplia la capacità di creare reddito e occupazione, e una “dimensione territoriale” che le caratterizza fortemente. Infatti, mentre nel mondo sono le grandi aree metropolitane i luoghi ove si concentra la vita culturale, in Italia il fenomeno interessa più che altrove anche i comuni più piccoli dove si localizza una forte attività creativa che ha a fondamento il patrimonio, le tradizioni, le conoscenze; e quando questi elementi si incontrano con l’innovazione e la tecnologia, si genera il cosiddetto “turismo creativo”, si valorizza l’offerta sui mercati nazionali e internazionali e cresce l’economia di quei territori.
Pertanto, le “imprese della bellezza” costituiscono, insieme all’indotto che generano (turismo, enogastronomia, accoglienza, ecc.), uno dei principali asset che possiamo mettere in campo per il complessivo sviluppo economico del Paese. Ma i livelli di creatività che qualificano i processi di produzione del settore non sono di sostegno per la nascita e lo sviluppo di imprese di una certa grandezza: come già detto, la piccola dimensione è un dato strutturale del settore e tutto ciò evidentemente non favorisce uno sviluppo di nuove iniziative di impresa.
E’ qui che la collaborazione tra pubblico e privato, perseguita da Civita e che anch’io professo da sempre, è destinata a rivestire un ruolo fondamentale nel sostegno delle nascite delle imprese culturali di una certa dimensione, in quanto dovrà da un lato indirizzare le politiche verso “grandi” obiettivi e, dall’altro, creare le “gambe” sulle quali farli poggiare. La cultura, per poter diventare una vera risorsa per il Paese, dovrà essere affidata ad attori in grado di gestirla secondo logiche di impresa, come ho diffusamente spiegato anche nel mio libro “Arte e Finanza” del 2012 (ristampato nel 2015).
Credo d’altra parte che sia necessario anche mettere in atto politiche che accrescano le connessioni tra il settore culturale e creativo e gli altri settori dell’economia, oltre che innescare politiche intersettoriali che possano favorire – attraverso le infrastrutture, o la formazione – lo sviluppo dell’industria della cultura. Nel futuro prossimo questa correzione deve essere apportata tenendo pienamente conto delle potenzialità delle imprese legate alla bellezza, alla creatività e alla cultura materiale dei territori, ma anche delle caratteristiche del nuovo scenario che va consolidandosi, ben illustrato nel volume “L’arte di produrre arte”. Una politica che guardi lontano è cioè obbligata a tener conto dei processi di riorganizzazione in atto e dei suoi futuri impatti e a mettere in campo non solo maggiori risorse ma policy settoriali più mirate e incisive di quelle finora sperimentate.
Migliorare la qualità della vita delle collettività insediate nei territori dipende in modo non marginale dalle capabilities, offerte a un pubblico sempre più vasto, di consumare effettivamente cultura e dagli strumenti messi a loro disposizione per apprezzare il bello. Esiste un’ampia fetta di popolazione, sia tra i giovanissimi sia tra gli “over 64”, che non consuma abitualmente cultura: si tratta di un segmento importante del Paese, di un potenziale di domanda non utilizzato che – laddove si accrescessero effettivamente e sistematicamente le capacità per i cittadini di fruire appieno dei prodotti culturali – potrebbe sostenere in modo non marginale lo sviluppo del settore. Di sicuro ne beneficerebbe in maniera diretta la crescita del welfare civile,in quanto un maggior consumo di cultura aiuta – com’è ormai noto – a vivere meglio e più a lungo.