Investire in educazione e centralità della persona per uno sviluppo sostenibile
Intervista ad Anna Ascani, Sottosegretaria al Ministero dello Sviluppo Economico
Quale ritiene sia l’ “infrastruttura” principale che tiene insieme il mondo della cultura e quello della scienza?
L’educazione è l’ “infrastruttura” fondamentale che tiene insieme i due mondi. Lo sviluppo economico deriva dal rafforzamento di questi ultimi, dall’investimento in Cultura e Scienza: più l’Italia comprende la necessità dell’investimento strategico e strutturale nell’educazione delle persone più ancora che nella ricerca, nella cultura e nella tecnologia, e più sarà in grado di rafforzare i due mondi, la cui interazione è fondamentale e al centro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato dal Governo lo scorso fine Aprile.
La cultura è uno dei settori che più ha sofferto durante la pandemia da Covid-19, perché ha a che fare con la condivisione in presenza tra le persone. Ma proprio in ambito culturale ci si sta interrogando moltissimo su che cosa si può imparare da questa pandemia e molte sono le iniziative in campo che dimostrano che è stata acquisita una nuova consapevolezza legata alla necessità non semplicemente di recuperare quello che è stato perduto e di ricostruire un mondo che la pandemia ha messo in crisi, bensì di costruire uno sviluppo di tipo differente, uno sviluppo sostenibile che tenga conto di una crescita economica più equa e in grado di favorire una comunità che sia più coesa e armonica rispetto alle sfide del futuro, declinando al meglio gli obiettivi del programma Next Generation EU.
Da un lato c’è il mondo della cultura, anch’esso chiamato a ripensare sé stesso, ad interrogarsi non tanto sui propri valori e le proprie radici – da rafforzare anche alla luce dei colpi che la pandemia ha inferto al sistema -, ma anche sulla propria capacità di rinnovarsi e di viaggiare anche attraverso infrastrutture digitali. Dall’altro lato, ci siamo accorti tutti di quanto importante sia lo sforzo globale e nazionale sulla ricerca, perché se ci ha portato ad avere in tempi brevissimi un vaccino in grado di aiutarci ad uscire dalla pandemia, ci ha fatto anche comprendere che siamo ancora indietro nella capacità sia di rendere davvero globale quello sforzo, sia, come Paese, di esserne capofila. Questo non perché ci manchino le competenze, ma perché abbiamo privilegiato altri fonti di investimento e siamo stati meno capaci, rispetto ad altri Paesi, di investire su quella leva di futuro. Oggi, che siamo chiamati ad immaginare la costruzione di un modello di sviluppo sostenibile, dobbiamo tradurre quella consapevolezza nella capacità di investire di più e meglio nella ricerca, anche valorizzando esperienze di innovazione già esistenti nel nostro Paese, nella capacità di attrarre ricercatori stranieri e costruire infrastrutture di persone e tecnologie che ci permettano di essere, come Paese, capofila di uno sforzo che non può essere solo nazionale.
Cultura e scienza ci dicono che il centro di un nuovo modello di sviluppo è la persona, ovvero l’investimento sulla persona. uanto Questa riflessione ha avuto un peso nella definizione del programma Next Generation EU e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza appena approvato?
Certamente, ha avuto un peso fondamentale. Quando, infatti, si afferma che i tre asset del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono lo sviluppo sostenibile, la transizione digitale e l’inclusione sociale, si afferma la centralità della persona. Il PNRR è determinato da uno sforzo e un impegno europei che ci auguriamo diventino strutturali: se funzionerà, siamo sicuri che potrà fondare una nuova Europa vicina alle persone.
Con la pandemia abbiamo infatti compreso che non siamo “isole”, che c’è qualcosa che viaggia al di là dei confini nazionali e che ci chiama ad una risposta innanzitutto europea, prima ancora che globale. Se pensassimo di investire in infrastrutture digitali, telecomunicazioni e banda ultra larga in termini soltanto nazionali, faremmo qualcosa di basso impatto. È l’Europa a doversi “intestare” la missione di fare molto di più di quello che ha fatto negli ultimi 20 anni, perché è l’Europa ad essere debole di fronte al resto del mondo su questi asset strategici per il futuro. Da qui la necessità di una integrazione degli sforzi nazionali per una crescita sostenibile, necessità posta al centro del PNRR.